START | Venezia | Leggende di ieri

Questo sopra è la statua di Giuseppe Zolli. Siamo ai giardini di Via Garibaldi al monumento dedicato all’eroe dei due mondi. Narra la leggenda che all’inizio degli anni 20 un veneziano passasse da quelle parti sentendosi misteriosamente colpire ad un braccio. Il signore si gira e vede un’ombra rossa fuggire via. Dopo di lui tocca ad altre persone vedere quest’ombra rossa. La voce comincia a girare tanto da chiamare dei poliziotti. Un giorno però qualcuno riconobbe quest’ombra rossa: era il garibaldino Giuseppe Zolli morto anni addietro. Zolli promise a Giuseppe Garibaldi durante la spedizione dei Mille di vegliarlo anche dopo la sua morte. Gli abitanti decisero allora di aggiungere alla statua di Giuseppe Garibaldi anche la sua. Da quel momento l’ombra rossa non si fece più vedere.
 
Tratto dal libro “Leggende veneziane e storie di fantasmi” di A. Toso Fei, una raccolta di leggende o storie vere riscritte dal sottoscritto.
 
 
Se passate alle Fondamente Nove e proseguite verso la fine fino al distributore della benzina siete in un posto particolare. Di fronte a voi avete il cimitero e di fianco il cosiddetto Casino degli Spiriti, già raccontato altre volte.
Un’altra oscura e misteriosa leggenda vi aspetta in quei posti.
Nel periodo seguente la seconda guerra mondiale Venezia, come nelle altre città italiane, viveva un brutto momento fatto di fame e miseria. In quei anni era vivo il fenomeno del contrabbando di sigarette fatto di fughe e rincorse tra le barche della Finanza e le velocissime barchette blu a fondo piatto dei contrabbandieri locali.
Linda Cimetta era una donna che spesso arrivava a Venezia per comperarne un po’ e contrabbandarle a Belluno dove viveva col marito. In città non era ben vista perché si diceva facesse anche la prostituta.
Dopo un po’ di lei non si seppe più nulla.
La polizia indagò sulla sua scomparsa e venne a conclusione che Linda era stata vittima di un omicidio. Vennero pure trovati i colpevoli rei di averla uccisa con una scure, segata a pezzi, messa dentro un baule e gettata in mare.
In quei giorni alcuni ragazzi si tuffarono dalla riva delle Fondamente Nove e trovarono un baule pieno zeppo di seppie e granchi. Con la fame che c’era immaginatevi il parapiglia.
E immaginatevi pure cosa successe quando tra una seppia e l’altra emerse il corpo fatto a pezzi di una donna.
D’ora in poi nessun veneziano si sognerebbe mai di andare a pescare da quelle parti, vuoi per tradizione, rispetto, paura.
 
 
Ci troviamo sopra il ponte della Fava tra S. Lio e S. Bortolomio. Davanti a noi c’é la chiesa dedicata a Santa Maria della Consolazione o, come diciamo tutti, della Fava. Della Fava perché anticamente v’era un negozio di un commerciante che vendeva appunto le fave.
La storia inizia tanto tempo fa quando non c’era neanche la chiesa che vediamo ora ma una di più piccola che dava proprio in riva e dove c’é quella di adesso c’era il suo cimitero.
Maria, figlia di un ricco commerciante, e Gregorio, pittore di immagine sacre, erano amanti segreti da quasi tre anni. Il padre di Maria però la voleva sposata con un’altro. In fretta e furia gli trovarono un giovanotto ricco da maritare con cui stette a malincuore per altri tre anni. Ma dopo una breve malattia Maria morì e venne sepolta proprio nel cimitero della chiesa.
Era inverno e a Venezia cadde la neve. Dal cimitero si levò una figura, era Maria. Andò dal marito e poi dai suoi genitori ma tutti la scacciarono come fosse il demonio in persona. Maria andò allora dal suo amato Gregorio il quale stava al suo tavolo da lavoro mentre stava dipingendo un’immagine della Madonna da donare alla chiesa: “Non aver paura, non ti farò del male” disse Maria. E si abbracciavano. Gregorio, senza dire niente a nessuno, curò e vestì la sua amata finché il giorno di Natale apparvero in chiesa tra lo stupore di tutti. Alcuni, riconoscendo i due, gridarono al miracolo. Quella volta però anche i genitori la vollero in sposa a Gregorio e l’immagine della Madonna regalata dallo sposo alla chiesa fu considerata miracolosa intitolando la chiesa Santa Maria della Consolazione per il sentimento che era derivato ai genitori e al primo amore di Maria nell’averla trovata.
Subito i parrocchiani vollero eretta una chiesa intitolata alla Madonna della Consolazione e per riporvi l’immagine della Madonna dipinta da Gregorio. Ma vollero anche costruire nella facciata della chiesa le due statue dei due innamorati a ricordo.
Ma un giorno, mentre erano in corso i lavori della nuova chiesa sia l’immagine della Madonna sia le statue di Maria e Gregorio scomparvero nel nulla.
 
Un’altra curiosità. Se osservate sopra il portale dell’ingresso della chiesa c’é una conchiglia in marmo appartenente alla vecchia chiesa. La leggenda vuole che il celebre pittore Botticelli passasse dal ponte della fava mentre usciva dalla chiesa una donna bellissima. La volle immortalare nel suo celebre dipinto proprio sopra una conchiglia uguale a quella che vi ho descritto. Altra curiosità: ai lati dell’ingresso ci sono le due rientranze senza le statue di Maria e Gregorio.
 
 
Siamo in una notte di novembre del 1929 e siamo in pieno dopoguerra. Dalle parti di campo Ruga in quel posto che si dice sia la coda del pesce Venezia e cioè dalle parti di San Pietro di Castello.
E proprio dalla riva che entra in calle che va al sottoportico Zurlin, il sottoportico più basso di Venezia, inizia questa breve storia. Quella notte nevicava, passa una gondola. Al riparo del felze stava il dottore personale del vescovo che ritornava a casa dopo aver prestato le sue cure.
All’altezza della riva che va in calle del sottoportico Zurlin sente una voce. E’ una ragazza che grida aiuto avvolta nel suo scialle nero. Sua madre sta male. Sorpreso che la ragazza avesse riconosciuto in lui un dottore prese la sua borsa in cuoio e si affrettò a soccorrere la madre della ragazza. Entrò in una delle porte della corte interna e salì le scale. Là trovò la donna, che subito riconobbe come una sua ex domestica. Aveva la polmonite.
Il dottore fece di tutto per quella donna complimentandosi di avere una figlia così premurosa: se la domanda d’aiuto fosse stata invocata anche la mattina dopo sarebbe stato troppo tardi. Ma in quel momento la madre strabuzzò gli occhi: “Mia figlia? Ma è morta più di un mese fa!”. Il dottore non voleva crederci, si girò e non vide più la ragazza. La madre, a prova che quello che diceva era vero, indicò al dottore di aprire l’armadio di fronte al letto per mostrargli le sue scarpe e il suo scialle. Il dottore riconobbe lo scialle nero che aveva visto addosso alla ragazza con la differenza che era perfettamente asciutto.
 
Siamo dalle parti delle trafficate Mercerie, vicino al ponte dei Bareteri, in corte Locatello. Per intenderci è la stradina parallela delle Mercerie che vanno a Rialto tra Trevissoi e il Sempione. In questa deliziosa corte tra le quinte dei lussuosi negozi e animata, si fa per dire, dalla presenza di un antiquario è ambientata la nostra breve leggenda.
I pozzi, come sapete, erano una delle poche risorse idriche di Venezia. Quell’anno però era un anno molto secco che bisognava prendersi meno acqua possibile nei pozzi per accontentare tutti. Immaginatevi quante baruffe facevano la povera gente.
Una sera un barcaiolo recandosi al pozzo di corte Lucatello trovò una signora vestita di bianco. Subito prese paura poiché a quell’ora della notte c’erano certe dicerie che vedevano delle streghe aggirarsi e che erano particolarmente feroci in quel momento di siccità. Ma subito la signora vestita di bianco disse al barcaiolo: “Non temere! Ma se stanotte non tornerai a casa prima dell’alba ti capiterà qualcosa di strano”.
Il barcaiolo, impaurito, minacciò la signora di andarsene continuando ad attingere l’acqua dal pozzo. La signora invece pregava. Ad un certo punto dal sottoportico entrò un uomo assalendo con un lungo coltello il barcaiolo colpendolo gravemente. La colluttazione durò quel tanto che bastava all’altro uomo di accorgersi di quello che stava facendo e di pentirsi.
La signora in bianco allora prese il coltello intriso di sangue lasciato cadere a terra dall’assalitore, si avvicinò al pozzo e fece cadere dentro tre gocce di sangue. In quel momento l’acqua cominciò a salire dal pozzo fino a traboccare. Prese allora il suo fazzoletto, pulì la ferita del barcaiolo che cominciò subito a rimarginarsi. I due si guardarono negli occhi sentendo la signora in bianco dire a loro che da quel momento in poi vi sarebbe stata acqua in abbondanza. Se ne andarono non prima di aver visto la signora svanire nel nulla.
La leggenda continua. Si dice che la signora in bianco sia stata murata all’interno del pozzo per occultare l’omicidio compiuto dal suo amante e che il suo spirito aleggi nella corte nelle notti di luna nuova.
  
La chiesa della Madonna dell’orto a Cannaregio si chiama così perché in un orto non distante dalla chiesa, che si chiamava San Cristoforo, venne trovata un immagine miracolosa della Vergine.
Nella parte superiore della chiesa sono state scolpite le statue dei dodici apostoli da dei mastri scalpellini di nome Dalle Masegne. Non molti lo sapranno ma l’immagine del dodicesimo apostolo traditore di Cristo, Giuda, non viene mai raffigurato con le fattezze sue ma con quelle di San Mattia, il santo che prese il suo posto dopo il noto suicidio.
Siamo nella prima metà del ‘300. Paolo Delle Masegne era un adoratore del demonio e la chiesa di San Cristoforo doveva essere un luogo di culto satanico, ma nessuno, neanche i suoi fratelli, lo sapevano. A lui il demonio aveva consegnato una delle 30 monete di Giuda usate per il tradimento di Gesù e l’ordine di inserirla nella statua del discepolo traditore a cui Paolo aveva dato le sembianze vere. Per finire nel suo intento, al diavolo serviva una una messa di dedicazione. Questa avvenne nel corso della settimana Santa del 1366.
Tra la gente presente alla cerimonia c’era anche Isabella Contarin, una bambina di dodici anni che si diceva avesse la capacità di dialogare con l’aldilà e di leggere il futuro guardando l’aura delle persone. La bambina era molto famosa a Venezia tanto da essere considerata una santa.
Nel pieno della cerimonia la bambina guardò negli occhi Paolo Delle Masegne indicandolo come un discepolo del diavolo. Non fece neanche in tempo di dirlo che il Dalle Masegne gli si scagliò contro ma un pronto credente prese il dispensatore dell’acqua santa che aveva per le mani e la spruzzò contro il seguace di Satana. Paolo Delle Masegne cadde per terra di colpo come svenuto. A quel punto, dice la leggenda, il cielo si oscurò e il vento soffiò forte. Ma tutto ad un tratto tutto cessò. Quando Paolo rinvenne non si ricordò di nulla. La statua rimase comunque al suo posto come la vediamo ancora oggi.
Andiamo a scoprire qual’è recandoci una notte d’inverno davanti la chiesa della Madonna dell’orto a Cannaregio.
 
 
Il campiello del Remèr si chiama così perché anticamente v’era un negozio dove si costruivano remi. Per arrivarci bisogna fare la strada che va da S. Bortolomio alla Strada Nova, appena sorpassata la chiesa di S. Giovanni Grisostomo si gira nella calle della Stua. Il campiello dà in Canal Grande ed è anche famoso per un raro negozio di articoli da muratore (sabbia, tubi, calcina, ecc.).
In questo campo c’erano le case di Bajamonte Tiepolo. Bajamonte Tiepolo, siamo nel 1310, odiava il doge Pietro Gradenigo tanto da tramare la famosa congiura. La sua famiglia, assieme a quella dei Querini, Badoer, i Doro e altre si riunirono in questa casa nella notte tra il 14 e il 15 giugno armati di tutto punto per assaltare il palazzo ducale. Ma il doge era a suo tempo avvertito che non poté fare nulla. Bajamonte venne esiliato (una autentica condanna per un veneziano!) a vita e le sue case demolite. Al loro posto, la colonna d’infamia. Appena eretta, una complice di Bajamonte la ruppe. Fu condannato col taglio della mano e con l’accecamento. In seguito la colonna fu portata nella chiesa di S. Agostino e dopo ancora in una villa ad Altichiero, da un antiquario ed infine in una giardino su una villa sul lago di Como.
La leggenda di questa settimana vi porta indietro col tempo, all’incirca alla fine del ‘600. Il nobile Fosco Loredan era geloso della bella Elena, una delle figlie del fratello del doge Marino Grimani.
Una sera il doge, passando da quelle parti, sentì una donna gridare dalla paura inseguita da un uomo con la spada sguainata.
Il doge subito li rincorse trovandoli proprio in campiello del Remèr. Li riconobbe subito: Fosco e Elena. Fosco intimò al doge a non intromettersi: “Fatti da parte! Questa donna mi ha tradito!” Ed Elena: “Non è vero! Lui si rode dalla gelosia perché io conosco un giovane che potrebbe essere quasi mio figlio!” Il doge promise di mettere via la spada se lui lasciava stare la bella Elena ma ad un certo momento Fosco disse allo zio di Elena: “Guardati alle spalle!”. Il doge non fece neanche a tempo di girarsi che Fosco mozzò la testa alla moglie.
Marino Grimani furibondo si frenò di fare la stessa cosa sull’assassino che lo implorava di lasciarlo in vita e ordinò: “Prendi il corpo di Elena, caricatelo sulle spalle e la sua testa in mano, non lo abbandonerai né di giorno né di notte e lo porterai dal Papa a Roma. Sarà lui a stabilire il tuo destino”.
E così fece, si allontanò e andò a Roma. Dopo cinque mesi il Papa non lo volle neanche ricevere. Fece ritorno a Venezia, andò in campiello del Remèr e là, nel Canal Grande, si lasciò annegare.
 
 
Dal ponte dell’Angelo si può vedere un palazzo appartenuto alla famiglia Nani (o, secondo alcuni, dai Soranzo) dov’è scolpito un angelo intento a benedire un globo decorato da una croce. Il significato della presenza di questo altarino è da ricercare da una leggenda tramandata dai frati Cappuccini.
In questa casa abitava nel 1552 un avvocato della Curia Ducale che si diceva fosse stato una persona che ottenesse molti soldi con imbrogli nonostante fosse devoto alla Maria Vergine.
Un giorno andò a mangiare da lui padre Matteo, il generale dei Cappuccini. Padre Matteo era stupefatto dalla presenza di una scimmia in casa dell’ avvocato che l’aiutava nelle faccende domestiche. Allorché il buon padre si accorse che nella scimmia qualcosa non andava, notava una presenza demoniaca in lei. La scimmia, di rimando, cominciò a comportarsi stranamente e a nascondersi sotto il letto.
Padre Matteo allora gli parlò: “Rivelati quel che sei, scimmia!” E lei: “Io sono il demonio e sono venuta in questa casa per prendere l’anima di questo avvocato. Lui mi deve molti dei suoi titoli.”. “E perché non te l’hai ancora portato all’inferno?” disse il padre. “Perché ogni sera pregava Dio e la Madonna. Bastava che solo una volta se ne dimenticasse che subito veniva con me a bruciare nelle fiamme”.
In quel momento Padre Matteo ordinò al diavolo di uscire dalla casa. E la scimmia: “Dall’alto mi è stato ordinato di non uscire dalla casa senza fare qualche danno”. E il padre: “Farai si qualche danno. Adesso dalla casa ci uscirai sfondando il muro.” E così il demonio se ne uscì.
I due continuarono a cenare e a parlare di tutte le cose brutte successe fino ad ora. Padre Matteo disse all’avvocato di pentirsi di tutte le malefatte compiute fin d’ora e, preso un lembo della tovaglia, prese a torcerlo fino a che del sangue cominciò a gocciolare. “Questo è il sangue dei poveri da te succhiato con tutte le tue ingiuste estorsioni.”
“E per il buco nel muro lasciato dal diavolo?” domandò l’avvocato “Al posto del buco ci porrai un’immagine di un angelo cosicché gli angeli cattivi alla sua vista ne fuggiranno” rassicurò il buon Padre.
E così fece.
 
Alla Bragora c’é uno dei sottoportici più bassi di Venezia. Sulla volta del sottoportico v’é un cuore che ha una storia da raccontare. In questa casa viveva Orio, un giovane pescatore. Come al solito prese la sua barca e vogò fino a dopo le bocche di porto di Malamocco e si mise a gettare le reti in mare. Era notte. Improvvisamente sentì un lamento: “Per piacere, liberami, ti prego!” Dal buio emersero delle mani e un viso di una meravigliosa ragazza. “Non sarai mica una strega caduta in acqua…” Non preoccuparti. Mi chiamo Melusina.” Sorrisero entrambi. E dalle scure acque emerse con lei anche una grande coda di pesce. Orio di colpo si rese conto di essersi innamorato di lei. Continuarono a parlare fino all’alba promettendosi di incontrarsi ogni notte. E così fecero.
Orio volle la sua mano. Melusina disse che in questo modo doveva perdere la libertà del mare per acquisire un paio di gambe. Lui insistette e lei acconsentì ma ad una condizione: fino al giorno delle nozze non si potevano vedere di sabato.
Tutto andò liscio per due settimane ma al terzo sabato non seppe resistere a andò al solito posto. Aspettò ma lei non si fece viva. Ad un certo punto un turbinio d’acque scosse il silenzio ed una grande serpe si dimenò nell’acqua chiamandolo per nome: “Ti avevo detto di non venire! Per un maleficio sono costretta a trasformarmi in serpe ogni sabato. Ma se mi sposerai rimarrò per sempre bella come mi conosci”
Si sposarono ed ebbero tre figli. Aveva una famiglia e il lavoro andava a gonfie vele. Ma un giorno Melusina si ammalò e morì. Volle essere seppellita in mare.
Da solo in casa coi figli, il lavoro da badare: non sapeva come fare. Ma qualcosa di strano avvenne in quella casa. Ogni volta che rincasava trovava sia i figli che la casa perfettamente a posto. Pensò fosse la sua vicina. Ma un giorno, di sabato, rincasato prima del solito trovò in cucina una serpe. Prese l’accetta e la colpì fino a farla stramazzare senza vita.
Da quel momento la casa e figli rimasero di colpo trascurati. Si accorse che la serpe era la sua Melusina e lui l’aveva uccisa definitivamente. A ricordo di questa storia un cuore in pietra è stato posto dove in origine fu la casa di Orio e Melusina.
 
In Inglese (una grazie a Albert Hickson)
At the Bragora there is one of the lowest sottoportegos in Venice. On the arch of the sottoportego there a heart that hasa story to tell. In this house there used to live a young fisherman, Orio. As usual he took his boat and rowed past the mouths of the port of Malamocco and started to throw his nets into the sea. It was night. Suddenly he heard a cry: ?Please free me, I beg you!? From the dark emerged hands and a face of a marvellous girl. ?You are definitely not a witch that has fallen in the water
? ?Don?t worry. My name is Melusina.? They both smiled. And from the dark waters emerged with her a large fish tail. Orio suddenly realised that he was in love with her. They went on talking till dawn, promising to meet every night. And so they did.
Orio wanted her hand (in marriage). Melusina said that in this way she had to lose the freedom of the sea to get a pair of legs. He insisted and she consented, but with one condition: until the day of the wedding they could not see each other on a Saturday.
Everything went smoothly for two weeks, but on the third Saturday he did not know how to resist and went to the usual place. He waited, but she did not come forward. At a certain moment a waterspout shook the silence and a huge serpent thrashed in the water calling him by name: ?I told you not to come! By an evil spell I am forced to change into a serpent every Saturday. But if you will marry me I will stay beautiful, as you know me, for ever.?
They married and had three children. He had a family and his work was going successfully. But one day, Melusina took ill and died. She wanted to be buried at sea.
Alone at home with the children, his work to take care of: he didn?t know what to do. But something strange happened in that house. Every time that he returned home he used to find (sia i figli) that the house was perfectly tidy. He thought it was his neighbour. But one day, a Saturday, returning home earlier than usual, he found a serpent in the kitchen. He grabbed his hatchet and hit it until it collapsed lifeless.
From that moment the house and the children suddenly stayed neglected. He perceived that the serpent was his Melusina and that he had really killed her. In memory of this story, a heart of stone was placed where the house of Orio and Melusina originally stood.
 
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